GLI ARCHIVI E LA PUBLIC HISTORY. Resoconto dell’incontro dell’11 maggio 2017

GLI ARCHIVI E LA PUBLIC HISTORY. Resoconto dell’incontro dell’11 maggio 2017

Ne abbiamo conversato presso gli Archivi storici dell’Unione Europea, tutti seduti intorno al grande tavolo della bella sala di studio. Il nostro percorso ha seguito tre focus particolari: la Public History, gli Archivi, i Professionisti.
È stata una bella conversazione, informale e molto partecipata. Abbiamo iniziato cercando di inquadrare la Public History nell’Italia di oggi con la “narrazione” da parte di Serge Noiret sulla nascita dell’Associazione Italiana di Public History e sulla scelta di mantenere il termine inglese per sgombrare il campo da possibili equivoci che potrebbero nascere dalla traduzione letterale in lingua italiana.
A ciò ha fatto seguito la presentazione della Conferenza internazionale che si terrà a Ravenna dal 5 al 9 giugno 2017. Dove sarà presente anche un panel di Anai Toscana dal titolo “Archivi e Public History. Un incontro possibile?” Il nostro panel illustrerà quattro modi diversi di muoversi tra archivi, documenti e pratica della storia con l’obiettivo di raggiungere ed essere utili al pubblico anche in maniera non tradizionale e con il coinvolgimento di soggetti diversi: la genealogia intesa modernamente; il lavoro sulle raccolte fotografiche; il mercato antiquario e infine il potere narrativo dei documenti.
Abbiamo poi parlato di storia e memoria e del ruolo degli archivi nella Public History. Ruolo
centrale e molto variegato che intreccia la carta con l’immagine digitale. Da un lato la possibilità di mettere a disposizione di tutti e in tutto il mondo e in qualunque ora del giorno le immagini di interi complessi archivistici. Dall’altro la pratica sempre più diffusa di creare attraverso il digitale degli archivi “inventati” che danno voce a pezzi di storia in passato trascurata e a fonti documentarie relativamente nuove, come le foto e le registrazioni audio e video di natura privata. Indubbiamente la possibilità di mettere on-line immagini e documenti commentati dalla memoria delle persone è uno degli aspetti più innovativi del “fare” storia del Novecento. Ma anche gli archivi tradizionali dei secoli scorsi con la loro fisicità possono essere luoghi del “fare” storia, oltre che luoghi di studio e conservazione. Abbiamo qui accennato al potere narrativo delle carte e alle possibilità di utilizzarle in maniera non “tradizionale” per esempio come canovaccio, ma anche
come scena vera e propria, di eventi teatrali. Oppure per fare storia della scienza in maniera divulgativa ma non banale. E dunque ci sembra che il grande patrimonio documentario che possediamo possa dare un contributo non secondario alla Public History italiana. Pensiamo agli archivi di persona, alle raccolte fotografiche, ai carteggi privati o alla ricchezza degli archivi comunali toscani senza parlare poi di quelli aziendali, che raccontano la storia del territorio e delle comunità e che possono essere mostrati ed utilizzati con il pubblico per disegnare dei percorsi storici che legano il passato al presente in una precisa realtà geografica, coinvolgendo la memoria stessa delle persone e il vivere quotidiano del territorio, dal punto di vista civile, ambientale ed economico.
Infine abbiamo parlato di “mercato della storia” e dei professionisti della storia e degli archivi constatando quanto la realtà statunitense sia più avanzata ed articolata di quella italiana che invece è ancora molto legata alle istituzioni accademiche. Argomento questo assai complesso e sul quale torneremo sicuramente in seguito, ma certamente abbiamo confermato che un posto nuovo per il “fare” storia sta avanzando anche in Italia e di conseguenza ci saranno dei mutamenti negli ambiti professionali che vi si vanno ad affacciare. È ancora presto però per delinearne bene i confini e le caratteristiche della Public History italiana dal punto di vista deontologico, economico ed organizzativo. In questo un ruolo determinante e prezioso potranno e dovranno giocare le associazioni dei professionisti della cultura insieme alla nascente Associazione Italiana di Public
History.
Una cosa comunque si può già dire con certezza: il profilo del public historian che si è delineato in ambito internazionale si inserisce assai bene nel solco dell’attuale dibattito italiano sulla necessità di favorire forti collaborazioni tra competenze professionali diverse e sulla necessità di qualificare il lavoro di tutti i professionisti della cultura secondo le logiche della rivoluzione digitale. Rivoluzione che ci impone di aggiornare le nostre competenze e i nostri strumenti di lavoro al fine di dare accesso ai patrimoni e alla conoscenza in maniera sempre più efficace. Obiettivo che si raggiunge
 più facilmente grazie alla collaborazione tra mondi professionali diversi ma affini.
In tal senso abbiamo concluso la nostra conversazione dando una notizia significativa. Infatti grazie alle relazioni tra professionisti che in Toscana si sono create in ambito MAB c’è stato un dialogo tra chi scrive e un gruppo di lavoro della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e a breve il termine
“Public History” sarà inserito nel Nuovo Soggettario Nazionale, dove non era presente.

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Erano con noi Caterina Del Vivo, Dieter Schlenker, Andrea Becherucci, Gherardo Bonini. Colleghi degli archivi e dei musei fiorentini e toscani, storici, antropologi ed appassionati di rievocazioni storiche, i partecipanti del panel di ANAI Toscana alla Conferenza di Ravenna e una rappresentante di Pop History, la nuova associazione nata dagli studenti del Master in Public History di Modena.

FRANCESCA CAPETTA